mercoledì 30 luglio 2014

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BEFORE THE DAY STARTS  english language

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Un anno, un giornoAttenzione per il mese di AGOSTO CODICE DI SCONTO DEL EBOOK UN ANNO UN GIORNO
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Roberta, ex attrice, vive in piccolo borgo medioevale. E'serena e tranquilla, fino a quando non ricomparve Giovanni Astardi, il più grande amore della sua vita. Astardi era un attore di successo ma ultimamente non lavorava quasi più e s'era ridotto a fare piccole pubblicità per delle televisioni locali. Parlarono del loro presente e del passato. Astardi tornò a Roma alla ricerca di un successo perduto mentre Roberta cercò di riprendersi da quella visita che l'aveva molto destabilizzata e provata.Questo romanzo analizza gli aspetti contrastanti dell'ambiente cinematografico della Roma degli anni `90..I suoi personaggi ne sono condizionati in modo determinante e spesso drammatico, reagendo ognuno con la forza interiore di cui è capace.
Un romanzo avvincente per passioni,amori,tradimenti da gustare fino all'ultima pagina


anteprima 

3 CAPITOLO

La colazione, che aveva preparato, era ricca e abbondante: caffè, latte, cornetti, fette biscottate, pane fresco, burro, marmellata e miele.
Giovanni non perse tempo. Prese le fette biscottate e le bagnò nel caffelatte mentre Roberta gli diceva di come fosse stata fortunata Natalia, nonostante fosse la meno bella di loro tre e la più timida e della fortuna che aveva avuto nel far innamorare di sé un produttore. Certo non era diventata una star di prima grandezza, ma aveva lavorato tanto.
Giovanni confermò che Natalia non era mai stata riconosciuta come una vera attrice.
“Hollywood non l’ha chiamata mai “, precisò Roberta, che si disinteressò del cibo che si trovava sulla tavola.
Era tesa e nervosa, ma nello stesso tempo provava un certo sollievo quando parlava di Natalia.
Giovanni s’era accorto che Roberta aveva qualcosa di grosso nella testa e che parlava di Natalia per arrivare a qualche importante questione che la riguardava .
“Ma Natalia aveva talento; non certo come attrice, ma in un altro campo sì. I suoi modelli erano originali, belli e speciali, anche se, nei primi tempi, aveva bisogno di qualcuno che limasse alcune grossolanità. C’è riuscita! E’ riuscita a diventare una star. Non un attrice, ma una stilista. E che stilista!”
“Natalia non si è mai interessata di voi, di te e di Giulia?”
“No, mai. Sì, ci tenevamo in contatto. La stessa cosa che è successo con te. Sapevamo qualcosa l’una dell’altra. Ma mai s’è interessata di noi direttamente. E poi sai bene che la vera amicizia esiste quando si è tutti nel fango.” replicò.
“Vuoi dire che non credi nell’amicizia?”
“Ci credo, eccome. Ma nel caso in questione ho notato che ci sentivamo più vicine, e partecipi, e compagne, e complici quando abbiamo iniziato per cercare di sfondare che non dopo, quando ognuno, nel bene o nel male, aveva fatto un bel po’ di strada.”
“Bene.”, disse Giovanni, dopo aver gustato il cornetto alla crema.
Ora si sentiva abbastanza soddisfatto per quello che aveva mangiato, ma Roberta volle comunque che prendesse un’altra tazza di caffè; l’avrebbe presa anche lei.
La donna lo invidiava un po’ per il vizio del fumo...  perché sentiva il bisogno di fumare, ma lasciò perdere: non voleva ricadere nel vizio e nella dipendenza da nicotina.
Giovanni bevve il caffè; poi si accese una sigaretta: a lui era concesso  fumare.
Si ritrovarono in giardino.
“Un giorno, non ricordo l’ora, sento il telefono squillare. Vado a rispondere e  immagina un po’ chi era?
“Natalia!? “, rispose pronto Gianni.
“Bravo. Sì, Natalia. La donna, che non ha neanche un po’ di tempo per andare al cesso, di chi si va a interessare? Di me. Non le chiedo come sta, né che fa, né perché ha chiamato, né che cazzo vuole. Dice tutto lei. Mi dice che ha parlato con un regista importante per affidare a me, (alzando il tono della voce) a me capisci, un ruolo importante in un film. Lei è invischiata economicamente nell’operazione, lei crede in me, lei vuole me. A giorni, avrebbe mandato un agente a contattarmi e a farmi leggere il copione.”
Giovanni si accese un’altra sigaretta e si allontanò da Roberta, che rimaneva ancora seduta sul dondolo.
Capiva, ora, perché la sua amica era così tesa.
L’equilibrio, che faticosamente aveva trovato, rischiava di andare in frantumi.
Già le era costato tanto prendere la decisione di abbandonare tutto, e ora che era riuscita a trovare un suo status di vita, arrivava questa proposta da lontano che le poteva sconvolgere la vita.
Avrebbe fatto salti di gioia, avrebbe corso a perdifiato per chilometri, avrebbe acceso un cero al suo santo protettore se quella proposta le fosse giunta tempo prima.
Ma si sa bene che molte cose arrivano nel momento che meno te l’aspetti.
“...ed è arrivato? “, chiese Giovanni, sempre tenendo le spalle a Roberta e con gli occhi tesi a osservare l’orizzonte.
”Chi?”
“L’agente.”
“Sì! Alcuni giorni fa. Si è presentato con un mazzo di rose rosse e con un fare gentile e affabile. Un uomo elegante, sicuro di sé, esplicativo al massimo. E’ arrivato al problema in modo chiaro e conciso. Aveva un modo di fare che, se mi avesse messo sotto gli occhi il contratto, l’avrei firmato senza neanche accorgermene “, disse Roberta, che si fermò per un attimo; forse aspettava una domanda da Giovanni, che non ci fu.
Proseguì.
“Mi hanno offerto cinquecento milioni per fare il film. Una cifra enorme per convincermi a eliminare ogni resistenza.
“E tu cosa hai deciso? “, chiese, voltandosi e tenendo lo sguardo fisso su Roberta.
“Mi hanno dato del tempo per riflettere. Poco tempo per me, ma un’eternità per loro: quindici giorni.”
“Hai letto il copione? E’ qualcosa di buono per te?” domandò.
“Il copione? L’ho letto, eccome! Ti dico, Gianni, che è la parte che ho sempre sognato d’interpretare. Un ruolo bellissimo, vitale e di grosso spessore. Il meglio per me “, rispose, estasiata.
E questo stato di grazia lo si poteva notare osservando il luccichio dei suoi occhi.
Giovanni le consigliò di accettare.
Roberta non gli rispose, allargò le braccia e le distese sul bordo dei cuscini del dondolo, poi con i piedi diede una spinta e si lasciò cullare, tenendo gli occhi chiusi.
“Torno a Roma “, disse Giovanni, incuneandosi nel silenzio che durava da un paio di minuti.
Roberta annuì.
Solo quando sentì più il rumore dell’auto,  si accorse che era andato via.
Fece una corsa, uscì da casa, arrivò sulla strada. Lo chiamò ad alta voce, ma l’auto era abbastanza lontana.
Era stata stupida ed egoista. Aveva pensato solo a se stessa, ai suoi problemi, ai suoi dubbi.
Quando Gianni le aveva detto che tornava a Roma, avrebbe dovuto capire che aveva qualche problema.
Bella stronza era stata a comportarsi così.
Ripensò a quello che gli disse quando aveva preso la decisione di smettere: sarò il tuo porto, quando deciderai di smettere di navigare.
Certo, sono cose che si dicono in quei momenti; magari se lui avesse deciso di tornare in un mese o al massimo in un anno, lei ne sarebbe stata immensamente felice.
Ma, si sa, le cose cambiano. Cambiano le circostanze, cambia l’ambiente e cambiamo noi stessi.
Ma lei no, non doveva farlo. Non doveva comportarsi in quel modo.
Certo aveva, come scusante, la situazione che stava vivendo.
In questo ci si metteva anche Argot, il suo convivente.
Voleva sposarla, voleva tenerla per sé, ma lei gli aveva detto che era meglio convivere, non legalizzare, né tanto meno vivere sotto lo stesso tetto.
Si era sentito inadeguato e non degno di Roberta.
Lei gli aveva tante volte ripetuto che lo amava così, per il suo modo di essere, per il suo stile di vita, ma Argot non si sentiva più soddisfatto del solito trantran che fino all’incontro con Roberta aveva scandito tutta la sua esistenza.
Voleva di più, voleva darle di più.
Così aveva mandato al diavolo i suoi mutuati e aveva rispolverato la sua specializzazione in chirurgia.
Non aveva mai esercitato. Aveva iniziato a frequentare corsi di aggiornamento a Milano, a Roma; aveva contattato i suoi amici per trovare lavoro in una clinica privata.
Voleva essere degno di lei. Voleva che Roberta un giorno potesse dire: “È un grande chirurgo. Ha salvato molta gente ed è il mio uomo”.
“ No, no e no! Non hai capito niente! Non è questo  ciò che voglio!”, aveva tante volte gridato  per dissuaderlo.
E poi il film. Il contratto. Il fotografo.

Sorridi, Roberta. Ancora di più. Brava. Bene.”
Sorridere. Piangere. Mostrare un po’ di gamba fuori.
“ Il seno. Dai che l’hai abbondante. Mostralo! Ma... Roberta, che cosa hai questa mattina? Mostra tutto il seno.
Notte.
Alzarsi alle tre di notte.
Bene.
Conferenza stampa.
L’intervista alla radio.
La televisione.
Fare presto.
Altra intervista.
Festeggiamenti.
Evviva!
E’ fatta?
E’ andato bene?
Bene. O.K.
Il viaggio. L’aereo. IL treno. La nave.

No, no e no. Lei non si sarebbe lasciata trascinare in questo vortice, lei non ne aveva la forza, lei non avrebbe firmato.
Ma come lasciare andare alla malora tutto questo?
Cinquecento milioni!
La possibilità di entrare dalla porta principale nel mondo del cinema importante, quello che conta, quello d’autore.
Un’occasione unica, irripetibile.
Aveva una tempesta di pensieri nella testa e si muoveva nella stanza come un automa. Era irrequieta. Avrebbe fumato ora, ma non c’erano sigarette. Un po’ di whisky le avrebbe fatto bene. Bevve tutto d’un fiato il primo bicchierino e poi il secondo.
Si sentiva un po’ stonata.
Accese la radio. La solita frequenza: radio Mnemosin.
E si lasciò cadere sulla poltrona in attesa che qualche segnale le giungesse...
Ascoltò la canzone dei mondiali, ascoltò una canzone di Anna Oxa.
E poi sentì: Sexy sadie what have you done
Era la voce di Lennon, erano i Beatles. Quella canzone era sexy sadie.
Erano riusciti a trovare il disco, “il bianco”.
Canticchiò per un po’ la canzone, poi si addormentò.

martedì 29 luglio 2014

OLIVIERO DA COSTA L'uomo in più della spedizione dei Mille




C'ERA UN UOMO CHE NON E' STATO MAI MENZIONATO NELLA SPEDIZIONE DEI  MILLE. NOI DI VOVEV LO ABBIAMO TROVATO

PROLOGO
 Il mio nome è Silvio. Lo so, per voi non è sufficiente sapere chi sono: di Silvio ce ne sono parecchi in giro. Pellico è stato un eroe. Eduardo certamente lo associate a De Filippo e così Silvio lo assocerete all’uomo della provvidenza. Nei libri di storia non troverete il mio nome tra i mille garibaldini, eppure c’ero. Sì, sono io l’uomo in più. Del resto, sapete bene che senza la mia presenza, la spedizione dei mille non avrebbe mai potuto aver luogo, né sapete quello che ho passato per far in modo che tutti andassero d’accordo. Se era di questi tempi avrei annullato quella spedizione e ne avrei creata un’altra più funzionale al progetto. I bergamaschi, che erano appena nove o dieci, pretendevano di avere delle garanzie per la costituzione di una lega lombarda. In poche parole volevano che promettessi la liberazione della Padania. Ed erano solo nove ma mi hanno minacciato che avrebbero aggregato al loro gruppo i veneti e i piemontesi. I centristi, che erano un folto gruppo, volevano conquistare prima Roma per sedersi sullo scanno del Parlamento e porre le basi per una grande convergenza di ideali storici e europei per un Europa, libera e liberata. Li ho ascoltati ma tutte queste convergenze avrebbero portato a delle divergenze d’influenze estero ed ortodosse che avrebbero vanificato lo sforzo del pensiero liberale tale da portare all’implosione del Centro e alla sua distruzione. Cioè, come dice il grillo parlante: parole, suffissi, prefissi, lineari, storici, paralleli per non far capire un cavolo all’interlocutore. E poi c’erano i sudisti, i così detti Africani del Nord, che volevano la solo liberazione della Sicilia in modo da costituirsi come stato libero e indipendente. Per fortuna  che allora non c’erano i comunisti. I socialisti sì! Garibaldi era tra questi. Non era un socialista puro. Era transgenico, cioè passava da una fase di socialismo rivoluzionario che abbracciava l’Europa intera a una fase di socialismo ragionato. Inaffidabile da ogni punto di vista. Nonostante ciò mi é servito allora per essere accettato come una componente importante della missione, e in futuro per la mia formazione di collage o collante di formazione e pensieri variegati. Il sapere accontentare tutti e dare quelle piccole soddisfazioni che anche un incarico di terzo o quarto livello fosse gratificante. Il parlare calmo ed intermittente senza avere alterazioni e consentire a me ( alla betty )di dire cento parole e agli altri quattro o cinque. Tutti mi vogliono bene da Pollanca, intendevo dire Paul Anka. Sì, il cantante americano. Quello che canta ogni volta ogni volta che parto... alla Fede che non mi manca mai e che mi è stato sempre a fianco. Nel mio pensiero c’é stato sempre il bene della mia Patria :l’Italia. Sì, in quei tempi era solo un embrione non ancora sviluppato con tutti questi stati e statini. Potevamo mai competere con la Francia, la Germania? (nb Alemagna è stata sempre una spina nel fianco anche allora)  E così sono sceso in campo anche se qualcuno mi ha gridato: ne potevi fare a meno. Questo sarà la storia a giudicarlo. Il mio nome è Silvio. Per la precisione Silvio Oliviero da Costa, così evitiamo confusioni parallele e futuristiche. Ah, dimenticavo! Sono lombardo, quindi italiano. Il cognome è di mio padre, portoghese, la mamma naturalmente è italianissima, cioè lombarda.


                                                                                                                                                                                                                 


LA SPEDIZIONE DEI MILLE E...UNO


Giuseppe Garibaldi andava avanti e indietro nel corridoio con le mani congiunte dietro la schiena
Era lì che aspettava da mezzora ed incominciava ad innervosirsi un po’. In altri momenti avrebbe mandato tutto al diavolo, magari avrebbe sfogato la sua ira su una giovane puledra a cavalcare per tutta la notte. Ma la cosa era molto importante e poi quello che lui aveva scelto era il più bravo e il più stimato del Nord. Nell’attesa accese il suo sigaro avana e fumò.

La giovane segretaria si avvicinò. Tossì un po’ per il fumo e, dopo essersi protetta il viso con il fazzoletto, lo invitò ad entrare.
Peppino entrò con la delicatezza di un bisonte in una prateria, e fumava maledettamente il suo sigaro Avana, morsicandolo ripetutamente.
La stanza era piccola, male illuminata ed il fumo rendeva la respirazione molto faticosa.
Il ragioniere Gallion guardò dritto negli occhi Garibaldi nello stesso momento in cui questi lo investì con una nuvola di fumo.
Sbuffò ma si mantenne calmo.
Si alzò ed apri la finestra
“Un po’ di aria pura!”, disse, ritornando poi a sedersi. Non prima di aver dato uno sguardo fugace alle guglie del Duomo di Milano.

“Generale! Quale buon vento?”, lo salutò Gallion, allungando la mano.
Dopo i convenevoli, Garibaldi si mise a sedere mentre il ragioniere cercava di spostare le pratiche che aveva sulla scrivania per sentirsi impegnato. Prese il fascicolo. Lo aprì e visionò alcune carte.
Garibaldi lo osservava attentamente in ogni suo movimento nella speranza che   trovasse qualche appiglio o cavillo per risolvere il suo caso. Ma dalla faccia del ragioniere intuì che non c’era nulla di buono.
“E allora?”, chiese spazientito don Peppe.
Gallion sbuffò un'altra volta, anche perché l’aver aperta la finestra non gli aveva portato alcun miglioramento
”C’è poco da fare. Qui non risulta niente”
“Come niente? E il periodo in cui ero il comandante di una nave a Tagonrog sul mar nero. Neanche lì risulta che ho lavorato?

tratto dal libro La spedizione dei Mille ...e uno di Raffaele Crispino
nb: l'autore è un africano del Nord
copywrite 2014  Citare la fonte