mercoledì 1 ottobre 2014

QUESTA VOLTA PARLIAMO DI DISOCCUPAZIONE

In un momento come questo, dove le cose non vanno bene è difficile parlare di disoccupati e fabbriche che chiudono. Allora siamo leggeri VI PRESENTO UNO STRALCIO DEL LIBRO
IL DISOCCUPATO DOC ( ovvero l'arte di non fare niente) BUON DIVERTIMENTO

1 Il disoccupato doc

«Enzo... Enzo... sono le nove» disse l’anziana donna, appena aprì la porta della stanza da letto. Ma non avanzò. Aspettò che ci fosse una risposta; poi quando vide che suo figlio si metteva ancora più sotto le lenzuola, capì che avrebbe fatto bene a chiudere la porta senza far rumore.Enzo, invece, s’era già svegliato, ma non voleva essere disturbato; sapeva che erano perlomeno le nove e mezzo. Sua madre voleva imitare Eduardo[1], e diceva ogni santo giorno: sono le nove. Avrebbe detto che erano le nove anche se fossero state le undici del mattino. Ormai Enzo non ci faceva più caso. Sapeva solo che il giorno era iniziato da un bel po’ di tempo e che per lui incominciava una nuova giornata di… lotta. Si rigirò nel letto, indeciso se alzarsi o aspettare ancora un altro po’. Tanto non aveva niente da fare. Da quello che riusciva a intravedere dal letto la giornata doveva essere molto assolata. Così,dopo una quindicina di minuti, decise di alzarsi; si avvicinò alla finestra e osservò il cielo.
«Ti ho preparato il latte e il caffè. Ho preso anche dei cornetti[2]» disse premurosa Concetta, la mamma di Enzo, appena lo vide entrare in cucina.
«Ah, bene. E il giornale?» chiese lui.
«Sì. Eccolo. Ho preso Il Mattino» rispose Concetta mentre prendeva il giornale dal piano della cucina.
«Oh, Il Mattino! Perché non hai preso La Repubblica?Lo sai che oggi è giovedì?»
Concetta non rispose, si sentiva un po’ in colpa. Aveva dimenticato che su La Repubblica il giovedì escono gli annunci per la ricerca del personale qualificato nelle industrie o nel terziario. Cercò di replicare, cercò di dire che sarebbe andata dal giornalaio a cambiarglielo, ma Enzo le disse di non preoccuparsi.
Incominciò a bere il latte; poi bagnò il cornetto e se lo mise in bocca. Non era molto buono quel cornetto.
«Ma dove diavolo li hai presi questi cornetti?» chiese,quasi disgustato.
«Li ho presi da Peppe ’o spuorc’[3], al bar vicino al giornalaio.La pasticceria era chiusa».
«Quante volte ti devo dire di non prendere i cornetti da Peppe ’o spuorc’. Lo sai anche tu che non li cuoce bene » disse, un po’ stizzito, Enzo, mettendo via il cornetto,mezzo bagnato.
«Ma, Enzo! È stato così gentile, Peppe. Me li ha regalati.Ha detto che… ecco mi ha ringraziato per il problema di matematica che hai risolto a suo figlio. Me ne ha dati due. Io dico che sono buoni».
Enzo non replicò.
Chiese delle fette biscottate.
Non c’erano fette biscottate.
Chiese del burro e marmellata.
Non c’era burro e marmellata.
«Almeno c’è un po’ di pane?»
Concetta non disse una parola. Sapeva che doveva comprare il burro e la marmellata; non è che ci fossero poi tanti soldi da spendere per questi sfizi. Concetta pensava che suo figlio, il professore, era sfortunato: prima perché non aveva un posto di lavoro, poi perché non riusciva a fare le ripetizioni a qualche figlio di salumiere;così altro che delizie avrebbe comprato per lui. Gli altri potevano anche farne a meno, ma Enzo… no. Non gli doveva mancare niente.
Concetta gli diede il pane. Enzo continuò a mangiare,ma c’era qualcosa che lo disturbava: un rumore.
La causa era: le macchine per cucire. Le sue due sorelle lavoravano da circa tre ore, e avevano, imprudentemente,lasciato la porta aperta. Allora Concetta si allontanò e andò nell’altra stanza.
«Enzo si è svegliato. Sta prendendo il latte. Almeno per un po’… potete smettere di fare rumore?» ammonì l’anziana donna in modo risoluto.
Le due donne, una, Luisa, sui ventisei, e l’altra, Francesca,che poteva avere un ventidue anni, smisero di cucire le lenzuola.
«Hai lasciato la porta aperta, per questo Enzo ha sentito » imprecò Luisa, rivolta alla sorella.
Luisa e Franca erano di professione casalinghe lavoratrici.Prima lavoravano in una fabbrica di scarpe a mettere la colla. Ma dovevano alzarsi di mattina presto, e fare più o meno tre chilometri a piedi per raggiungere il posto di lavoro. Quel lavoro loro avrebbero volentieri continuato a farlo se non fosse stato per il fratello, il professore.
Che figura ci faceva Enzo ad avere le sue due sorelle operaie in una fabbrica? Ne valeva dell’immagine, e allora meglio morire di fame che perdere l’immagine. Fu per questo che si ritirarono. Ora, invece, restavano in casa e pochi sapevano i fatti loro. Lavoravano in clandestinità,in nero. Cucivano “a una tantum”[4] lenzuola: più ne facevano e più guadagnavano.
La più grande Luisa andò subito a preparare i vestiti che suo fratello doveva indossare, mentre l’altra, Franca, chiese se dovesse portare il giornale alla signora Folea. La signora Folea, di nome Sabrina, era la moglie dell’ingegnere. Una donna molto bella, che abitava nel palazzo di stile inizio Novecento, proprio di fronte alla loro casa.
Concetta lavorava presso di lei per dei piccoli lavori domestici e la signora l’aveva incaricata di prendere il giornale ogni mattina e di portare anche dei cornetti. Sabrina sapeva che il giornale lo leggeva prima Enzo, ma non avrebbe detto niente anche se glielo avesse portato alle undici del mattino, così anche per i cornetti. Perché sperava che fosse lo stesso Enzo a portarle quelle cose; magari avrebbe scambiato due parole con il professore.Avrebbe acquistato un po’ di cultura, e avrebbe in tal modo ben figurato, dato che la sua estrazione sociale non è che fosse molto in. Era riuscita a sposare l’ingegnere solo perché era bella e aveva le curve davvero sconvolgenti.
Enzo aveva ventinove anni, ed era un disoccupato “doc” (cioè autentico). Tutti lo chiamavano professore, anche se non aveva mai preso la laurea. Solo perché era stato iscritto all’università di Napoli, alla facoltà di medicina. Ma come si sa, da queste parti, basta che uno sia iscritto all’Università per essere già considerato dottore. E poi Enzo aveva la faccia giusta da intellettuale; con quel suo viso sempre stanco, che sembrava che ti facesse un piacere se ti dava una risposta.
«No. Lascia stare. Glielo porto io il giornale alla signora Folea» disse Enzo.
«E fai bene. Fai bene figlio mio. Hai il modo di parlare».
«Parlare!»
«Sì. Parla. Il marito della signora Folea, lo sai bene, è un alto dirigente della Sip. È un uomo importante. Chissà cosa…»
«Telecom, mamma. Ora si chiama Telecom. Non si chiama più Sip».
«Come? Telecom!… Ma sono i telefoni?»
«Sì, mamma. Sono i telefoni».
«Ah, come sei istruito, figlio mio. Sai sempre tutto. Perché non le parli? Perché non le dici che… Basterebbe una parola del marito, e tu potresti lavorare. Prenderesti uno stipendio. Magari ti potresti sposare».
«Sposare!…»
«E quanto tempo vuoi farti aspettare? Giulia ormai sta avanzando con l’età. Parla con la signora Folea».
«Sì. Hai ragione. Appena ne ho l’occasione le parlerò. Le chiederò se può fare qualcosa per me. Sei contenta ora?» rispose con sufficienza Enzo, quasi volesse stroncare subito quella conversazione.
«Ma certo. Sono contenta. E poi non penso che tu debba per forza stare come gli altri in mezzo alla strada. Tu non sei adatto a fare lavori pesanti e manovalanza pura. Tu sei mio figlio, sei istruito. Sai molte cose. La signora,ne sono convinta, ti troverà un bel posto in ufficio,con la scrivania e l’aria condizionata».
«Sì, mamma. In ufficio. Certo» replicò Enzo.
«Allora… io vado a lavorare. Penso che adesso non ti dà tanto fastidio. No, Enzo?» chiese Franca, che rimase in piedi ad aspettare un o.k.
«Ma riposati un po’. Sempre a lavorare. È dalla mattina che sento quel rumore. Hai così tanta fretta? Pazienta,per favore, ancora un momento; aspetta almeno che esca da casa!» sbraitò Enzo, avviandosi nella stanza da letto,dove c’era sua sorella Luisa.
La madre di Enzo diede un’occhiataccia a sua figlia;quasi la volesse rimproverare per le parole appena dette.
Poi si avviò a seguire la “vestizione” di suo figlio. Franca,invece, voleva cercare di far più lenzuola che poteva: aveva bisogno di soldi. Lei con sua sorella aveva già preso un telefonino per il compleanno di Enzo. Erano riuscite a mettersi in contatto con il venditore abusivo di elettrodomestici, Luigi ’a Cajenna[5]. Questi aveva loro prospettato che avrebbero potuto pagare anche a rate il telefonino. E così lo avevano preso. Lo avevano ben nascosto, ma dovevano pagare le rate. Certo che ’a Cajenna aveva praticato un buon prezzo, ma aveva preteso un alto tasso d’interesse.
Poi magari avrebbero parlato con la signora Folea per allacciare alla rete il telefonino. Erano molto agitate,e spaventate. Questa era l’unica cosa che avevano fatto senza che il fratello fosse intervenuto. Poiché, da quando era morto il padre, Enzo era stato l’unico a interessarsi dei problemi sociali, e di tutte le altre piccole o grandi incombenze che la società attuale richiede.
Poco dopo Franca entrò nella stanza.
«Scusa, Enzo, dimenticavo. Ha telefonato Gaetano ’o sciupafemmine[6]».

nota: Gaetano ’o sciupafemmine, anche lui nel club dei disoccupati, aveva investito tutte le sue risorse sull’acquisto del telefonino. Diceva che così aveva una buona immagine e aveva la possibilità di imboccare la strada giusta:cioè sposare una donna di ricca e agiata famiglia per vivere di rendita e mantenere l’appartenenza al club in eterno.

«Ah, l’uomo con il telefonino. E che voleva?»
«Non lo so. Forse ti aspetta in piazza» balbettò Franca perché aveva dimenticato quello che aveva detto Gaetano.
Enzo uscì da casa, che saranno state le undici, e in pochi minuti si trovò davanti al portone del palazzo dove abitava la signora Folea. La signora lo fece entrare subito.
«Ho portato il giornale. Mi dispiace solo che è Il Mattino;so che le interessa leggere La repubblica» si scusò Enzo.
«Oh, non fa niente. Anzi leggo volentieri Il Mattino perché ci sono notizie interessanti sulla nostra città e sull’intera Campania» disse la signora Folea, sorridendo.
Avrebbe detto la stessa cosa, cambiando naturalmente i riferimenti regionali con quelli nazionali, se Enzo le avesse portato La Repubblica.
«Del caffè?»
«Sì, grazie, ma non vorrei…»
«Oh, non si preoccupi. Lei non disturba mai. E poi Maria lo farà in un momento» disse Sabrina, e con la mano fece un cenno alla cameriera di recarsi subito in cucina.
La signora Folea incominciò a parlare di letteratura. Domandò se fosse conveniente per una signora leggere Il delta di Venere.
«Mi hanno detto che è una scrittura un po’… osé».
«Porno. È pornografia letteraria» replicò Enzo, ben sapendo che quel suo linguaggio franco la metteva in soggezione.
«Porno!…Lei dice che potrebbe essere…»
«Oh, no. Per lei non sarà di certo un problema leggere questo romanzo, anzi, penso che vedrà l’amore da un’ottica diversa. Comunque le consiglio anche di leggere L’arte di amare di Ovidio».
«Contemporaneo?»
«No. Del 44 avanti Cristo».
«Avanti Cristo?»
«Avanti la nascita di nostro signore».
«Sì, certo. Ho capito. E Moravia?»
«Anche Moravia va bene. Un po’ pesante e…» replicò
Enzo, che avvertiva come la signora Folea stesse per intraprendere un filone molto audace.
«Sessuale. Lo so, lo so che Moravia tratta il sesso e che…»
«Oh, no! Non volevo dire questo. Sono certo che lei non avrà problemi a leggere i suoi romanzi, ma credo che non può divorare tutto in una sola volta. Per me dovrebbe andare per gradi».
«Ha ragione. Me lo dice sempre mio marito» disse Sabrina, mentre gli porgeva la tazza di caffè.
Enzo non si trattenne molto, anche perché s’era fatto tardi e aveva un appuntamento con Pasquale ’o sfessato;solo che quando fu fuori del portone, imprecò contro se stesso per non aver ancora una volta parlato con Sabrina del posto di lavoro.
Prestigio.
Ancora solo e sempre prestigio, quello che bloccava Enzo.Gli sembrava di chiedere la carità.
Andava a piedi in piazza, attraversando i vicoli antichi di Belriposo, una piccola città in provincia di Napoli con la solita piazza con molto verde, il campanile, le sue banche,due panchine sistemate in modo che si potesse sempre prendere il sole. Lì c’era un bel po’ di gente. Si rincuorò:non era il solo disoccupato. Era una bellissima giornata di sole, ed Enzo sapeva che il suo amico Pasquale ’o sfessato[7], diploma di Perito industriale, gli aveva certamente tenuto il posto sulla panchina. E infatti…
«Ah, che bella giornata! Me la voglio proprio godere»disse Enzo, dopo essersi seduto sulla panchina.
Pasquale invece era agitato. Non godeva come le altre volte quel sole del… Mezzogiorno.
«Bisogna fare qualcosa. Provare a inventarsi un lavoro,considerato che nessuno te lo dà» disse Pasquale, allargando le gambe e cercando di esporsi per bene ai raggi del sole.
Il professore non gli rispose subito; non aveva tanta voglia di parlare. Già aveva fatto una fatica a rispondergli prima e a sedersi lì per prendere il sole, e poi lui pensava solo a come far lavorare gli altri.
«E allora!. Che hai pensato?»
«…E aspetta un po’. Ti pare che con questa giornata tu devi per forza di cosa pensare al lavoro. Abbiamo così tanto tempo» si degnò di dire Enzo.
«Perché non andiamo a Rimini questa estate?»
Il professore non si mosse, continuò a rimanere in quella posizione con il sole che gl’illuminava la faccia, poi si decise a guardare in viso il suo amico.
«Vuoi andare in vacanza a Rimini… e i soldi,Pasquale? I soldi chi ce li dà?»
«Ma quali soldi! Io intendevo dire di andare a Rimini a lavorare».
«A lavorare! E tu vuoi andare in un posto dove tutti stanno in vacanza per lavorare? Ma!... a fare cosa, poi?»
«I camerieri».
«I camerieri! Eh, sei diventato matto! Ma ti pare che Enzo ’o professore porta le posate, i piatti».
E alzando la voce:« “Professore, mi porti una bistecca”. Sai che sfottò?
Almeno ti fossi inventato un altro mestiere più leggero».
«Ma allora dobbiamo stare qui, senza far niente?»
«E che vuoi di più, Pasquale. C’è questo sole così bello. Godiamocelo finché possiamo. Pensa un po’ alle persone che sono in fabbrica, sotto quei grandi capannoni con tutto quel rumore, la polvere, ecc. ecc. Pensa alle visite mediche che fanno, alla paura se qualche pulviscolo è entrato nei loro polmoni. Pensa che devono tenere gli occhi aperti per non farsi male. Pensa che quando ritornano a casa non trovano un cavolo: il sole, il sole se n’è già andato da un pezzo. Pensa ai lavoratori del Nord.
Così laboriosi, così attaccati al lavoro. Lì fa sempre freddo.
C’è sempre la pioggia, la nebbia. Che fai allora?...
Vai fuori a sederti sulla panchina a prenderti una bella strizza di nebbia. Non conviene più a loro lavorare al
caldo. Ecco spiegato tutto. Se avessero il nostro sole... e il mare, vorrei vedere il Brambilla se resterebbe chiuso in fabbrica. Pensaci, Pasquale, pensaci bene, e capirai che la nostra è una gran bella vita. Vuoi mettere la speranza,...la speranza di trovare... un posto. Farò l’impiegato, il comunale, il banchiere. E tu vuoi togliermi anche questo sogno».
«E ci penso sì. Ma... noi qualcosa dobbiamo fare. Lo so bene che tu ti arrangi a fare delle preparazioni, ma a me non pensi?»
«Preparazioni! Ho finito. Quei quattro studenti di matematica non vengono più. E poi pensi che mi pagano?
Ma no. Chi mi porta i pomodori, chi l’insalata, chi mi dà della stoffa per un vestito, e chi mi manda dei cornetti,che non sono neanche buoni. Soldi pochi o niente».
Pasquale smise di parlare. Ma, vedendo il viso di Enzo così ispirato, pensò che nella testa del professore stessero per entrare delle idee fantastiche.
Aspettò.
«Pasquale, ho pensato».
«Hai pensato. Era ora. Spero solo che non ti sia costato molta fatica. Aspetta. Prendo il fazzoletto. Hai la fronte tutta sudata».
«Ma lascia stare. Non vedi che è il sole. Vedi quanta umidità avevo in corpo. Oh, lo dico sempre io che l’elioterapia è una buona medicina».
«Allora, vuoi parlare. Che idea hai avuto?»
«Prendiamoci un caffè»..
«Un caffè. E i soldi».
«Sta entrando nel bar l’assessore. Approfittiamone. Facciamo finta di prendere qualcosa. Certamente lui... si metterà a disposizione».
Così fecero.
Pasquale e il professore entrarono nel bar, e l’assessore offrì loro il caffè. Scambiarono alcune parole: le elezioni,il sindaco, la giunta.
«Non si preoccupi assessore, sempre a sua disposizione» disse il professore, quando lasciò il bar.
Ritornarono a sedersi sulla panchina, miracolosamente lasciata vuota.
«Pasqua’![8]... Ma tu adesso che stai facendo? Non portavi le mozzarelle?»
«Le mozzarelle! Enzo, è un lavoro pesante. Mi dovevo alzare alle cinque. Non ce la facevo più. Ho lasciato».
«Ma chi ti capisce? Vuoi lavorare quando non lavori.Non vuoi lavorare quando lavori».
«È facile per te. Vorrei vederti. Vorrei vedere te a portare le mozzarelle. Mi dovevo alzare alle cinque del mattino,e a quell’ora fa sempre freddo».
«Eh, sì. Notte fonda. Eppure qualche volta devo provare ad alzarmi a quell’ora. Chissà com’è il cielo?»
«È meglio di no, senti a uno che ha già provato. È meglio restare a dormire».
«Hai ragione, Pasqua’. Io, per mia fortuna, sono previdente,...questo tipo di lavoro non lo cerco neppure. E poi non stiamo bene così? Qui ogni tre o al massimo quattro mesi si fanno elezioni. Non abbiamo un momento di pausa e tu vai a pensare alle mozzarelle. Stasera devo andare al congresso dell’assessore. Devo organizzare la campagna elettorale. Vieni anche tu. L’assessore paga bene. In fondo...che diavolo andiamo a fare a lavorare al Nord?»
«Ma io... intendevo un posto fisso, uno stipendio, una sistemazione...»
«Eh, un posto fisso!... Non è meglio così? Non è meglio...aspirare, sognare... che un giorno qualcuno ti darà
un posto fisso? Non è meglio stare così? In fondo vedi tu quanti pensieri ti devi mettere in testa: pagare l’Ici, pagare la sovrattassa, pagare l’una tantum, pagare la penale perché hai pagato in ritardo, pagare la tassa della salute.Controllare che quello che ti dà lo stipendio non abbia sbagliato a fare i conti. E invece noi che siamo? Chi siamo?Siamo... Nullafacenti!... Nullafacenti. Che bella parola,Pasqua’! Lo Stato ci deve aiutare, ci deve stare vicino, ci deve sovvenzionare. Siamo una razza in via d’estinzione.
Siamo specie protetta. È lo Stato che deve pagare, non noi che dobbiamo pagare. Capisci la differenza? In fondo siamo avvantaggiati».
«Ma che cosa stai dicendo? Alle volte non ti capisco proprio. È vero che hai una grande intelligenza, ma in questo tuo discorso non riesco a seguirti».
«E per forza, Pasqua’. Tu vedi solo il lato materiale della cosa e agli altri non ci pensi?»
«A chi dovrei pensare, ora?»
«Alle statistiche!… Dimentichi le statistiche, Pasqua’.C’è tanta gente al ministero che fa statistiche anche su di noi: al Sud 60% di disoccupati, al Nord 1.03%, al Centro 2.25 %. Noi produciamo lavoro. Se lavorassimo, tutta questa gente che farebbe?»
«I disoccupati!»
«Appunto. Hai capito, Pasqua’, quanto siamo importanti per la società?»
«A ben capire, se scompariamo, sarà una tragedia» disse Pasquale, pensieroso.
«E che tragedia. Gli impiegati delle liste di collocamento che fanno sempre graduatorie, che farebbero? E le
campagne elettorali? Vuoi mettere tutti quegli slogan: toglieremo la piaga della disoccupazione, daremo lavoro e sviluppo ai giovani del Sud. Questa fa sempre presa sulla gente ed è un ottimo slogan. Che altro si dovrebbero inventare i politici?»
«Hai ragione, professo’. Tu hai sempre ragione. Pensa un po’ a quanta gente manteniamo»
Ormai s’era fatta quasi l’una meno un quarto, ed era ora per loro di tornare a casa a mangiare. Poi nel pomeriggio un bel sonnellino, e verso le sette di sera uscita di nuovo in piazza con relativi incontri mondani.
Ma Enzo già stava pensando a cosa fare per fare un po’di soldi. Certo che i suoi progetti erano molto ambiziosi ed avrebbe avuto bisogno di un bel po’ di soldi per dar corpo alle sue idee megalomane. Lui studiava, studiava. Fantasticava. Poi vedeva l’impossibilità di realizzare la cosa,e lasciava tutto alla malora.
«È l’una, io mi sono stancato di stare qui. Vado a casa.
Allora, vengo stasera al congresso» disse Pasquale, che non si mosse però dalla panchina.
«Ma certo. Facciamoci queste elezioni. Incassiamo questi soldi. Poi ci sarà il referendum, o qualche altra elezione. Faremo i rappresentanti di lista. Prenderemo la diaria di disoccupati, e poi uscirà qualche altra legge che ci darà altri soldi. Senti a me, Pasqua’, siamo proprio fortunati a vivere in questo paese. Pensa te a che cosa vai a pensare... il lavoro. Quest’onere, Pasqua’, lasciamolo agli altri. Noi ci accontentiamo di vedere gli altri lavorare, e,senti a me, anche questa è fatica» disse il professore, prima di allontanarsi.
Pasquale rimase ancora un po’ seduto sulla panchina,vedeva il vigile che dirigeva il traffico. Un traffico, nonostante l’ora, molto intenso. Vedeva il vigile che si sbracciava,alzava le mani, faceva segnali per mandare avanti o indietro le macchine. Fischiava.
Pasquale si alzò dalla panchina. Prese il fazzoletto dalla tasca e si asciugò la fronte.
«Ha ragione il professore: guardare gli altri lavorare è già una bella fatica» disse tra sé e sé, mentre si avviava.

























2  Alla ricerca del... posto

Quella mattina Enzo si svegliò presto: erano le otto. Giulia, la sua fidanzata, tramite un’amica, era riuscita ad avere un appuntamento con l’assessore provinciale Michele ’o bit. Per questo motivo non poté fare come tutte le altre mattine. Nessuno lo venne a chiamare. Fece tutto un po’ di fretta: la doccia, la barba. Il tempo recuperato l’avrebbe impiegato per fare  colazione in santa pace. Si meravigliò nel vedere sul tavolo le fette biscottate e un barattolo di marmellata al gusto di ciliegia. Naturalmente c’era anche il burro. Concetta s’era lasciata sfuggire qualche parola di troppo con la signora Folea sui gusti del professore. Così Sabrina le aveva dato due barattoli di marmellata, oltre alla busta di caffè che le dava saltuariamente.
«Ah, bene! C’è anche la marmellata. Chi te l’ha data?»chiese sorpreso.
«L’ho comprata ieri sera dal salumiere» rispose Concetta, mentendo.
Il professore prese il giornale La Repubblica e diede uno sguardo fugace alla prima pagina; poi lo ripiegò e lo mise da parte.
Era teso per questo colloquio con l’assessore Michele:era in gioco il suo futuro. Bevve dalla ciotola il latte caldo mischiato a caffè. Aprì il barattolo di marmellata e incominciò a spalmarla sulle fette biscottate. Nonostante il rumore del motore delle macchine per cucire continuò a mangiare. Non ebbe alcun senso di stizza. Stava imburrando le fette biscottate, quando il telefono squillò.
Rimase in stop, con la fetta biscottata in una mano e nell’altra il coltello. Fece il gesto di alzarsi, ma sua madre con una mano gli fece segno di non muoversi. Poteva continuare a mangiare. Sarebbe andata lei a rispondere al telefono. Enzo non doveva in alcun modo essere disturbato.
Era Giulia.
Concetta le disse di chiamare più tardi, ma Enzo aveva sentito.
«Vengo, mamma. Dille che sto arrivando» gridò, dato che il telefono si trovava nel corridoio, abbastanza lontano dalla cucina.
Il telefono era di colore nero, di tipo spartano, forse degli anni trenta. Uno dei suoi studenti glielo aveva regalato,ritenendolo ormai obsoleto. Quello che avevano avuto dalla Sip non funzionava molto bene. Non avevano tentato neppure di farlo riparare, considerato la spesa che avrebbero dovuto affrontare.
Concetta, se avesse avuto di fronte Giulia, di sicuro l’avrebbe incenerita con lo sguardo. Non la sopportava per questa sua mania di chiamarlo sempre al telefono.
Non era una sua proprietà privata. Lei sapeva che il fidanzato s’era dovuto alzare prima quella mattina e che aveva perso delle ore preziose di sonno.
Che lo chiamava a fare?  compra il disoccupato-doc-
ADIOS COMPAGNERO!


[1]  Scena iniziale della commedia «Natale in casa Cupiello.
[2]  Croissant
[3]  Giuseppe, lo sporco.
[4]  Non una volta e basta, ma sempre.
[5]  Galeotto
[6]  Dongiovanni
[7]  Con cicatrice sulla faccia.Per dire di un uomo duro.
[8]  Pasquale

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