domenica 21 settembre 2014

SE PERMETTETE ,ECCOVI L'ASCENSORE!

Adesso vi potete leggere uno stralcio dell'ascensore.Un thriller senza eguali. Sarà per voi difficile prendere un ascensore dopo aver letto questo stralcio che resterà online-
BUON DIVERTIMENTO! 

L'ascensore . Boston By: Raffaele CrispinoL'ascensore tardava ad arrivare. Fratta incominciò a spazientirsi.
Da quando tempo stava lì fermo ad aspettare?
“Ascensore! Ascensore! Volete lasciar libero questo maledetto ascensore?”, gridò, sorpreso lui stesso per aver avuto quella reazione così sproporzionata.
Prima non aveva mai perso le staffe, lui che era un uomo dabbene e educato.
George si accorse di aver dimenticato la borsa nella macchina, ma non volle andare a prenderla.
C'era molto silenzio in quello stabile, si sentiva solo il rumore del vento e ogni tanto il rumore forte di qualche saetta che veniva giù dal cielo.
Sembrava che in quello stabile ogni piccola attività umana si fosse fermata.
Nessuno scendeva dalle scale o faceva rumore.
Non c'erano le grida festose dei bambini, neanche gli animali davano un segno vivente. Niente...non si sentiva assolutamente niente.
Fratta voltò le spalle all'ascensore. Avvertì l’assenza totale di rumore. Era perlomeno strano.
Quando si rigirò, vide l'ascensore già con le porte aperte; non aveva avvertito il suo arrivo.
“Ah... finalmente!”, esclamò mentre entrava nella cabina.
George si fermò di colpo, come se fosse stato preso da chissà quale presentimento.
Aveva paura.
Paura di cosa?
Cosa lo aveva spaventato?
La luce... Sì, era stata la  luce che stava all'interno della cabina, che lo aveva fatto di colpo fermare.
Era quel silenzio che lo spaventava, e l'ascensore si era presentato senza fare alcun rumore.
Strano! Era tutto così strano.
Eppure era l’ascensore che aveva preso tante volte.
Perché allora Fratta aveva paura di entrare?
Cosa mai gli poteva succedere?
Ma ai suoi occhi, l’ascensore aveva qualcosa di sinistro e diabolico.
“ Sto incominciando a dare i numeri. Adesso ho paura perfino di entrare in un normale ascensore. Mi sa tanto, mio caro George, che faresti bene ad andare da un buon psicologo per una controllatina al cervello”, si commiserò.
Quando mise il piede nel vano della cabina, George sentì un rumore.
Cos'era?
Era il pianto del bambino della signora del primo piano.
Si rincuorò nel sentire quel grido di vita ed entrò deciso.
Quello era un ascensore lento con velocità di 0,4 m/s; la cabina era molto spaziosa e vi potevano agevolmente entrare più di cinque persone, da un lato della parete dell’ascensore c’era uno specchio grande, azzurrognolo, all’altro lato c’era la pulsantiera e sopra in alto la luce.
Quella luce era forte, abbagliante. A George sembrò di vedere attraverso la lamiera, le mura della tromba dell'ascensore.
Quando schiacciò il pulsante numero tre, gli sembrò di aver toccato il capezzolo di una donna in carne.
Ritirò impaurito la mano, poi capì che si stava lasciando suggestionare: tutte quelle stranezze erano da addebitare alla giornata stressante che aveva avuto.
Aspettò che la porta si chiudesse ma non succedeva niente.
Sentì per l'ultima volta il pianto del bambino, poi più nulla.
Si spaventò, poi si rassicurò nel sentire il caratteristico rumore del motore che si metteva in moto; silenziosamente le due parti della porta della cabina incominciavano a muoversi l’una verso l'altra. Quando si toccarono ci fu un grande rumore.
Ora l'ascensore poteva finalmente iniziare la sua corsa.
Dove stava andando George?
A casa! Stava tornando da sua moglie Susan. Era in un l'ascensore, non in un treno per destinazione l'inferno.
George si guardò allo specchio per impegnare quei pochi secondi, che l'ascensore avrebbe impiegato per arrivare al terzo piano.
Si aggiustò la cravatta e si passò una mano nei capelli.
“Stai invecchiando mio caro... George. Guarda che occhiaie e quanti capelli bianchi”, imprecò contro se stesso a bassa voce.
George era longilineo e aveva le spalle larghe ,era un po' scuro di carnagione e aveva gli occhi a mandorla. Non era giapponese.
Che cosa stava accadendo?
Perché l'ascensore impiegava tanto tempo per arrivare al 3° piano?
Erano già passati più di cinque minuti che lui era entrato in quella maledetta scatola metallica.
L'ascensore continuava a salire, non si fermava mai, anzi la sua velocità aumentava sempre di più fino ad arrivare a 7 m/s.
Com'era possibile?
Di colpo ci fu una veloce decelerazione e alla fine l'ascensore si fermò. Fratta aveva notato che  andava troppo veloce, mai però avrebbe immaginato che l'ascensore fosse andato a quella folle velocità. La luce della cabina improvvisamente si spense: era mancata la corrente.
L'uomo, immerso nel buio più totale, sentiva il frastuono del violento temporale, che si stava scatenando fuori, e quasi vedeva con la mente i fulmini che cadevano giù.
“ Ci voleva pure questo! Accidenti! Speriamo che non si sia rotta la centralina di erogazione elettrica, altrimenti qui si farà davvero notte”, pensò, ostentando un certo disappunto per quanto gli era capitato.
Alla cieca si avvicinò al quadrante dei pulsanti e tentò di premere il pulsante del campanello d'allarme. Non vedeva niente. Non poteva neanche cercare nelle sue tasche dei cerini o un accendino, considerato che non fumava.
Allora incominciò a premere tutti i pulsanti nella speranza di sentire il suono forte del campanello d'allarme.
Non si sentì alcun suono.
Che cosa stava accadendo in quel maledetto ascensore?
Stava per perdere la pazienza; fino a quel momento era rimasto calmo e lucido, ma ora una paura sottile e pungente lo stava prendendo. Era disperato. Sentì il sudore freddo e intenso bagnargli la fronte.
Avvertì qualcosa allo stomaco. Un dolore. Per fortuna sparì subito.
La luce ritornò quasi per incanto e, senza che George facesse nulla ,l'ascensore incominciò lentamente a muoversi.
“ Dove diavolo va?”, urlò. L’ascensore andava molto veloce. Cercò di fermare quella folle corsa. Premendo ripetutamente il tasto di stop.
Lui non riusciva a fermare quella folle corsa; era disperato.
Batté i pugni con forza sulla lamiera della cabina, gridando con rabbia e paura.
“Maledetto! Fermati, per Dio!”
Inspiegabilmente l'ascensore si fermò.
A George sembrò quasi impossibile che ciò accadesse. Rimase in piedi. Appoggiato alla parete metallica della cabina, aspettò con trepidazione che la porta si aprisse automaticamente.
Passarono cinque minuti ma la porta rimaneva ancora chiusa.




CAPITOLO  3


Si avvicinò alla porta di casa, tremante per la paura. L’aveva scampata bene.
Prese la chiave dalla tasca e tentò d'infilarla nella toppa, ma non vi riusciva.
Se non si fosse calmato, non sarebbe mai riuscito ad aprire la porta .Forse faceva prima a suonare il campanello.
La chiave scivolò dalle mani e cadde a terra.
Mentre si chinava per prenderla, urtò con il ginocchio la porta e solo allora s'accorse che questa era aperta.
Entrò  in punta di piedi. George cercò di darsi un'aria più serena: non voleva spaventare sua moglie, né tanto meno farle capire quello che aveva passato.
“Susan, amore mio. Sono tornato. Sono io, George”, disse con voce allegra mentre poneva il cappotto sull'attaccapanni.
Nessuno rispose.
Era strano quel silenzio, come se tutto intorno fosse morto. Vide la luce accesa nella cucina e pensò che sua moglie fosse lì ad aspettarlo; fece appena tre passi che si rese conto che quella non era casa sua.
In quale casa era capitato?
Come aveva fatto a sbagliare?
Doveva andare subito via o lo avrebbero scambiato per ladro. Lui non era neanche in grado di spiegare come fosse capitato lì.
George si voltò per guadagnare l'uscita.
Buio.
Dove era quella maledetta uscita?
“Oh, Dio! Non vedo la porta! Non riesco a trovarla”, pensò in quei pochi attimi in cui si rese conto di aver smarrito la strada.
Fece alcuni passi nella direzione dove pensava di trovare l'uscita, ma da quella parte c'era solo buio e lui si ritrovava sempre nello stesso posto.
Ora cosa avrebbe fatto George?
“Susan, amore mio. Sono George. Sono tuo marito”, implorò con le lacrime agli occhi.
Era disperato. Aveva perso in un sol colpo tutta la sua sicurezza.
Forse s’era sbagliato.  Susan  da un momento all'altro le sarebbe corso incontro,  lo avrebbe abbracciato e baciato.
Ma tutto questo non avveniva.
Lì non c'era Susan.
C'era solo la luce; una luce abbagliante che tentava di fuggire dalla stanza, che cercava di avvolgerlo e di trascinarlo via.
La luce. Era l’unica cosa viva mentre intorno a lui c’era buio e morte. Doveva andare incontro alla luce, forse avrebbe trovato la salvezza. Avanzò lentamente  e entrò nella stanza.
Ma lì non vedeva nulla per l’intensa luminosità.
Si mise una mano sugli occhi per proteggersi e per cercare di vedere se lì ci fosse qualcuno.
“Sono George...George Fratta. Vi prego, chiunque voi siate, aiutatemi. Fatemi tornare a casa. Mia moglie mi sta aspettando”,  implorò.
Avvertiva la presenza di qualcuno. Attese che rispondesse.
“Ti stavo aspettando ,George...E' da tanto tempo che ti aspetto. Avvicinati. Non avere paura”, s'udì una voce femminile, calda e sensuale.
George ebbe un colpo al cuore quando sentì quella voce, poi si rincuorò: in quella stanza c'era una donna. Non la vedeva perché la luce era intensa e luminosa, poi  intravide una figura amorfa a pochi passi da lui.
Quando la luce si attenuò poté vedere in che posto era.
La stanza era enorme; aveva le pareti di vetro ma erano così distanti da lui che pensò che quella stanza non avesse pareti.
Al centro c'era un'enorme tavola di marmo nero; doveva essere lungo più di dieci metri.
Con stupore vide che la tavola non aveva alcuna base d'appoggio, non aveva le gambe.
E non era ancora finito il suo stupore quando vide sospesi nell'aria tre recipienti al di sotto dei quali si trovavano tre fuochi, che uscivano dal nulla.
Come era possibile tutto ciò?
In quale posto infernale era capitato?
E poi chi era quella figura che aveva davanti a sé?
Era una donna?
Sì. Era una bellissima donna; una donna così bella che lui nel corso della sua vita non l'aveva ancora vista.
“Chi sei? “,chiese, sconvolto e nello stesso tempo felice di trovare qualcuno lì.
 “ Io…sono la donna che tu hai sempre cercato e desiderato. E’ da tanto tempo che ti stavo aspettando. Ma tu non venivi. Non riuscivi mai a trovare la strada che portava a me. Ora sono felice perché finalmente sei qui. Sei davanti ai miei occhi”, disse con voce calda e così tenue che George a malapena riuscì a capire quello che diceva.
Lei stava in piedi vicino a quel grande tavolo di marmo nero, quasi a cinque metri da lui ed era bella.
Bella e diabolica.
Indossava un abito nero, lungo e aderente, con una scollatura ampia che si vedevano i seni quasi fino ai capezzoli.
E i capelli li aveva neri e gli occhi erano di un azzurro chiaro accecante e le labbra rosse e carnose.
George pensò che il vestito che la donna indossava non dovesse essere di stoffa né di seta; doveva essere fatto di qualche speciale sostanza che lui non riusciva a catalogare.
La guardò negli occhi e ne rimase affascinato, quasi stregato. La desiderava.
Qualcosa dentro di sé gli gridava di andare via, di non farsi ingannare da tutte quelle apparenze, di fuggire.
Nonostante pensasse che avrebbe trovato qualche soluzione, che avrebbe trovato un modo per sfuggire a quel malefico inganno, non riusciva a fare altro che mangiarsela con gli occhi. George sentiva che il desiderio dentro di sé aumentava sempre di più con il passare dei minuti.
Chi era quella donna?
Che nome aveva?
Che ci faceva in quel posto?
Domande e domande senza risposte.
“Oh Dio! Perché rimango in questa casa? Devo fuggire, devo andare via. Devo sfuggire a questa magia che mi sta avvolgendo, che mi sta lentamente prendendo la mente”, pensò, svegliatosi quasi di colpo da quello stato di abulia e annebbiamento mentale in cui era caduto.
Nonostante questi lampi di lucidità mentale, non riusciva a fare altro che rimanere lì, in piedi davanti a quella donna.
Lei s'accorse del suo turbamento. Allargò le braccia verso di lui e, con un sorriso dolce e accattivante si avvicinò.
“George...Non fare così. Non avere paura. Vieni,...vieni tra le mie braccia. Avvicinati. Non avere paura. Vedi... quanto sono bella? Io ti farò dimenticare quella vecchia donna di tua moglie che ad appena trentacinque anni è già così vecchia e cadente. Ti scalderò il cuore e ti farò bere latte di piacere dal mio seno”
George si sentì disturbato dal linguaggio così volgare. Provava disprezzo per quella donna che però nonostante tutto sentiva sempre più sua.
Perché nominare sua moglie?
Sì, era vero. Susan non era bella come prima, la malattia le aveva rovinato il corpo e la mente.
Cosa centrava lei?
“Ti scalderò il cuore”, continuava a dire la donna. George da un lato la odiava per il modo in cui si esprimeva, dall'altro rimaneva affascinato dalla sua prorompente sessualità.
“Chi sei? Qual è il tuo nome?”, chiese George, avvicinandosi ancor di più.
Lei lo guardò per un attimo, poi gli volse le spalle e si allontanò.
“Siediti, George. Siediti! Ti dirò ogni cosa “
Fratta cercò una sedia, anche se era sicuro che in quella stanza non c'era ;poi ne vide una materializzarsi davanti ai suoi occhi.
Si mise a sedere; era stanco e aveva lo sguardo perso. Aspettò che la donna dicesse una parola.
Questa si avvicinò fino ad arrivare con la sua bocca a pochi centimetri dalla sua tanto che sentì il caldo respiro sfiorargli la faccia.
“Vuoi sapere il mio nome, George? Non sai ancora come mi chiamo? Io sono Susan, questo è il mio nome ma tutti mi chiamano Angel”
La donna, dopo avergli fatto quasi assaporare le sue labbra, si allontanò.
“ Susan! Allora tu sei mia moglie. Dimmi che diavoleria hai fatto per trasformarti così. Susan, amore mio. Non farmi più soffrire. Lo vedi tu stessa come sono spaventato “,disse George con voce sicura.
Aveva trovato una spiegazione logica a quello che gli stava capitando.
Ma le cose strane e impossibili continuavano a verificarsi in quella casa funesta.
La luce lentamente incominciò ad affievolirsi fino a esaurirsi del tutto e a concentrarsi negli occhi di Angel. Lei emetteva quella luce abbagliante.
Questo strano fenomeno incominciò a minare ancor di più il suo precario stato psichico.
Ora aveva paura. Una paura violenta e sottile si stava impadronendo della sua mente e lo stava distruggendo.
Il cuore gli batteva forte. Sempre più forte tanto che lo sentì quasi fuori dalla carcassa.
George cercò in ogni modo di frenare quel battito pazzesco che aveva al cuore; si mise le mani sul petto ,ma il suo cuore continuava a battere.
“No. E’ tutto un sogno. Non aver paura George che tutto questo che ti sta capitando non è altro che un sogno. Vedrai che fra poco ti sveglierai e troverai accanto a te tua moglie”, ripeteva a voce alta nel tentativo di frenare quella pazza pulsazione del suo cuore.
George non si svegliava. Sua moglie non gli diceva che la giornata era splendida, non gli portava il caffè a letto, come faceva da un paio di giorni. Lui non sentiva la sua voce, vedeva solo la luce. Sì, quella luce era l'unica cosa che esisteva.
“ George, calmati! Così morirai presto. Non devi avere paura. Non devi avere paura del buio perché io illuminerò la tua esistenza così tetra e insignificante con il mio amore”, lo rassicurò Angel che gli voltò di nuovo le spalle.
George si alzò come un automa, non sapeva neanche lui quello che faceva in quel momento; chissà forse voleva scrollarsi di dosso quella magia, forse voleva fuggire. Sentiva le sue gambe agili e scattanti, pronte per una fuga.
S’accorse che ad ogni passo che faceva gli spazi si aprivano. Fece pochi passi e la grande vetrata si trovò a pochi centimetri dalla sua testa.
Ora poteva vedere la città attraverso quei grandi vetri azzurrognoli. Davanti ai suoi occhi c’era tutta la città.
Ma quale era il nome di quella città? Lui non la conosceva.
“Oh, Dio! Questa non è la mia città” gridò ,voltandosi a guardare la donna e cercando nel suo volto qualche spiegazione logica.
George Fratta alternava dei momenti di fredda e logica lucidità ad altri in cui la sua mente naufragava tra i flutti di un mare tempestoso.
“Io sono la tua salvezza. Ricordalo bene”, l’ammonì con voce grave e imperiosa; poi, avvicinandosi, continuò con voce calda e affettuosa.
“E' la tua città, George! Questa è Boston. Non la riconosci? Noi siamo al 40° piano. Sì, lo so a cosa stai pensando. Stai pensando alla tua casa. In questo posto c’era un vecchio stabile di cinque piani. E' stato buttato giù quindici anni fa. Ma come! Non riesci a ricordare neppure questo?”
Angel, quando fu abbastanza vicino, abbassò le spalline del vestito in modo che i seni belli e sodi potevano apparire in tutta la loro bellezza.
“Toccami. Non avere paura. Assaggia la mia carne. Metti la tua bocca sul mio seno e assaggia il latte del piacere. Con me non farai solo questo, non farai come con quella piccola e stupida prostituta nera. Perché io non darò solo il mio corpo in pasto ai tuoi desideri più bestiali e nascosti, ti darò anche amore”
George non capiva o non voleva capire.
Come diavolo quella donna sapeva così tante cose sulla sua vita?
In che strana magia era incappato?
Rimase immobile, in stato d'ipnosi ,ad ascoltare quello che Angel diceva.
Questa lo prese per  mano e lo accompagnò vicino al tavolo di marmo nero.
“Siediti! Non ti devi affaticare

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